sul rumore di fondo sporco di disturbo, quando non intendo dall’aspettare una clonia della rincorsa l’automatismo della sbandata sulla negazione d’espressione – la lingua inceppata che non c’è più niente da dire –
poi una mattina ti accorgi delle orecchie che sbucano dai capelli come quelle parole che non arrivano mai si fioccano quando ti lavi i denti e non sai perché
come camminare sull’orlo di una battigia che dissemina i passi delle sparizioni e le restituisce purificate di una schiuma bianca imprecisa gonfiata di niente
*
L’inedito Shhhh risulta finalista al Premio Bologna in Lettere 2021, motivazione di Francesca Del Moro
“La mini silloge presentata da Doris Emilia Bragagnini si apre con un titolo-onomatopea che suona come un invito al silenzio atto a predisporre a un più profondo ascolto, alla necessità di affinare la percezione di ciò che risuona fuori e dentro di sé. O meglio di ciò che, per osmosi, passa dal modo esterno alla propria interiorità e viceversa da questa viene proiettata su quanto la circonda immergendo ogni cosa in una dimensione surreale, onirica. Solo a partire da questo silenzioso ascolto è possibile risolvere il rischio sempre percepito da chi ha consapevolezza di scrittura della vanità / l’impossibilità del dire. La fragilità della propria voce che cerca di interpretare un mondo altrettanto fragile. Quella che lei chiama negazione d’espressione, lingua inceppata. Shhh è anche il suono prodotto dall’acqua mentre ci si lava i denti nella seconda strofa ed è proprio da questo rito quotidiano apparentemente insignificante che emergono le parole, come le orecchie che sbucano dai capelli. Si fioccano, scrive Doris, utilizzando un riflessivo di suo conio che attribuisce alla parola stessa il proprio darsi alla luce. Non è nuova alla sua scrittura l’attribuzione di una portata significativa a piccoli dettagli e gesti ordinari (si pensi ad esempio al latte lasciato davanti alla porta che dà il sottotitolo alla raccolta Oltreverso) capaci di far fiorire nuove consapevolezze nella sua vigile coscienza e favorire l’inatteso scaturire delle parole. Il suono evocato nel titolo torna nella terza strofa con l’implicito riferimento al rumore delle onde che cancellano i passi portando in primo piano i temi della precarietà di tutte le cose e della perdita. Con quest’ultima si fanno in particolare i conti nella seconda poesia ambientata in un esterno cittadino natalizio deformato in chiave surreale e ravvivato dai ‘rossi’ (il rosso, colore del sangue, della vita, della passione è un elemento chiave della sua poetica). Un’inquietante dimensione onirica avvolge la città popolandola di ombre, di nomi portati dal tempo che informano di sé le cose. Chi è stato non scompare del tutto né davvero rimane e, come nel sogno, può affacciarsi con la simultaneità di un lampo alla soglia della coscienza, dove viene percepito come presente e reale. In questa seconda poesia che si caratterizza, come le altre, per un linguaggio alto, levigato ed evocativo, c’è ancora una volta spazio per un momento di leggerezza (come il riferimento al lavarsi i denti), ovvero il gesto infantile di portarsi le mani sugli occhi e poi staccarle facendo apparire qualcuno come una sorpresa. Un’immagine peraltro in forte contrasto con “il freddo ululante” che immediatamente la precede. Un altro elemento in comune con la poesia di apertura è l’uso del verbo ‘sfioccare’, qui intransitivo ma non riflessivo, modificato dall’autrice con un procedimento opposto a quello che aveva interessato invece ‘fioccare’. Un verbo che ben sottolinea la fragilità di un mondo pronto a dissolversi da un momento all’altro. A dare omogeneità alla proposta poetica, lo stesso senso di labilità e la dialettica presenza/assenza tornano nella poesia conclusiva, in cui ritroviamo il concetto della soglia chiamato in causa da una parola-chiave: oltre, già parte del titolo della raccolta del 2012, Oltreverso, in cui peraltro si ritrovano i motivi qui presenti del cerchio e del rosso (sono il rosso in fondo al cerchio). Qui la perdita e la labilità sono quelle del sé che incombono nella notte con la paura della morte mentre la soglia è concretamente rappresentata dallo sguardo, dalla “dilatata pupilla la pupilla dilatata” (in cui la ripetizione a chiasmo ha una forte valenza mimetica). Viene in mente la poesia di Rainer Maria Rilke La pantera, riportata in esergo di Oltreverso nella traduzione di Leone Traverso: Solo, a volte, su l’arida pupilla, / tacito, un velo si solleva; e irrompe/ una immagine in essa; e via balena / lungo il silenzio delle membra tese, / per smorzarsi, veloce, in fondo al cuore. (Francesca Del Moro)“